Facebook non può inibire l’account a cuor leggero anche se viene ipotizzata una violazione degli standard
Il caso: Un’associazione che svolge attività politica si era vista inibire da Facebook l’uso della propria pagina nonché quelle di rappresentanti e simpatizzanti: il tutto anche “senza preavviso e senza fornire alcuna motivazione” e senza che il social riscontrasse le richieste di riattivazione. Per l’Associazione, pertanto, quell’inibizione non era legittima anche perché con la sua attività non aveva violato le regole di cui alle condizioni d’uso.
Il fondamentale ruolo di Facebook nella società moderna: Il Tribunale – nell’evidenziare l’illegittimità del comportamento posto in essere da Facebook – muove dal ricordare che quest’ultimo ha oltre 2,8 miliardi di utenti che da tutto il mondo possono entrare in contatto, condividere informazioni e discuterne tra loro proprio grazie al servizio on line “nell’ottica, dichiarata dalla stessa Facebook, della libertà di espressione del pensiero (cfr. Standard della Community)”. Per il giudice “nessun dubbio pertanto può sussistere sul ruolo centrale e di primaria importanza ricoperto dal servizio di Facebook nell’ambito dei social network e sulla speciale posizione ricoperta dal gestore del servizio che, in Europa, è la resistente FACEBOOK IRELAND LTD”. In questo contesto, non si può non riconoscere “il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook (o di altri social network ad esso collegati) con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento”.
La violazione contestata: Ebbene, nel caso di specie per Facebook la violazione delle regole contrattuali era stata individuata in ciò, che l’associazione avrebbe “divulgato contenuti di incitazione all’odio e alla violenza attraverso la promozione (…) degli scopi e delle finalità dell’Associazione stessa”.
Senonché, per il Tribunale non è possibile trarre conferma della violazione contestata da Facebook né dalla mera pubblicazione degli scopi dell’Associazione né dal fatto che alcuni suoi membri avrebbero tenuto comportamenti di incitamento all’odio. Ed infatti: a) quanto al primo caso l’“Associazione stessa (…) opera legittimamente nel panorama politico italiano dal 2009”; b)
Quanto al secondo caso, “non è possibile sostenere che la responsabilità (sotto il profilo civilistico) di eventi e di comportamenti (anche) penalmente illeciti da parte di aderenti all’associazione possa ricadere in modo automatico sull’Associazione stessa (che dovrebbe così farsene carico) e che per ciò solo ad essa possa essere interdetta la libera espressione del pensiero politico su una piattaforma così rilevante come quella di FACEBOOK”.
(Tribunale di Roma, sez. Impresa, ordinanza, depositata il 12.12.2019)