Il diritto all’oblio su Google: cos’è e come servirsene
Il web è in grado di conservare potenzialmente per sempre memoria delle informazioni, dei video e delle immagini pubblicati.
Ci basta digitare su un motore di ricerca un nome, per essere inondati di contenuti a riguardo: foto, video, recensioni, persino notizie vecchie di anni.
Per il web è – spontaneamente – impossibile dimenticare, a meno che non ci si operi per fare valere il diritto all’oblio, e rimuovere quei contenuti che rischiano di danneggiare la nostra reputazione.
Cos’è il diritto all’oblio?
Il diritto all’oblio rappresenta il diritto di un individuo di essere dimenticato per quanto riguarda eventi passati ormai conclusi. Costituisce il diritto di garantire la propria riservatezza e la protezione dei propri dati personali.
Attraverso il diritto all’oblio, un soggetto richiede di fare dimenticare (obliare) ciò che non reputa più appartenente alla propria identità.
L’articolo 17 del GDPR definisce il diritto dell’interessato di ottenere dal titolare del trattamento l’eliminazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo.
Il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, in presenza di una queste situazioni:
1. i dati personali non sono più necessari rispetto agli scopi per i quali sono stati raccolti
2. l’interessato revoca il consenso al trattamento basandosi su quanto disposto dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o dall’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), in mancanza di altro fondamento giuridico per il trattamento;
3. l’interessato nega il consenso al trattamento secondo quanto disposto dall’articolo 21, paragrafo 1, e non sono presenti motivi legittimi che rendono necessario procedere al trattamento
4. l’interessato si oppone al trattamento secondo quanto disposto dall’articolo 21, paragrafo 2
5. i dati personali vengono trattati illecitamente
6. i dati personali devono essere cancellati per rispettare un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
7. i dati personali sono stati raccolti in relazione all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1
Tali punti non si applicano in circostanze di:
● esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione
● per l’adempimento di un obbligo giuridico che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento
● per lo svolgimento di un compito eseguito nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento
● per ragioni di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica secondo quanto disposto dalll’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3;
● a fini di divulgazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere inattuabile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento
Apparentemente, consiste nel diritto alla cancellazione delle informazioni che ci riguardano, anche se in pratica la cancellazione è una conseguenza dell’applicazione del diritto all’oblio.
Diritto all’oblio sul web
Il diritto all’oblio è oggi regolato dall’art. 17 del GDPR (Regolamento UE n. 679/2016 sulla protezione dei dati personali).
L’art.17 puntualizza quando gli utenti hanno il diritto a richiedere la cancellazione dei dati che li riguardano:
● quando i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati,
● in caso di revoca al consenso al trattamento o i dati siano stati trattati illecitamente.
Allo stesso tempo, vengono indicate anche le situazioni quando il diritto all’oblio non è applicabile, ovvero quando entra in conflitto con:
● il diritto alla libertà di espressione e d’informazione
● nel caso di archiviazione di informazioni nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica
Con una sentenza del 26 giugno 2018 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito che il diritto all’oblio appartiene alle forme con le quali si manifesta il diritto alla tutela della vita privata come previsto dall’art. 8 CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), mentre l’art. 10 CEDU garantisce la libertà di espressione..
Il Garante alla Privacy può essere chiamato quindi a decidere sulla vicenda in questione, se un soggetto ha il diritto a far rimuovere una notizia che lo riguarda oppure se il diritto alla cronaca deve essere garantito.
A partire dagli anni 30, iniziarono a giungere in Tribunale controversie sul diritto alla cancellazione di dati portati all’attenzione pubblica. Negli anni 50 in Italia si iniziò concretamente a mettere in pratica il diritto alla riservatezza, sebbene la pervasività delle fonti di informazione non fosse alla portata universale di tutti come avviene al giorno d’oggi.
Il diritto all’informazione è una caratteristica della società odierna, che la grande varietà di mezzi tecnici (blog, social network…) permette a tutti di attuare e di fruire.
Tuttavia il rovescio della medaglia consiste nella facilità con la quale chiunque può diffondere informazioni false, contenuti privati, affermazioni diffamatorie, danneggiando in modo più o meno grave la reputazione altrui.
Il conflitto tra diritto all’oblio e diritto all’informazione non è facilmente risolvibile: il diritto di cronaca deve essere garantito per:
● rendere un servizio di informazione pubblica
● i fatti riportati sono oggettivamente veri
● l’esposizione dei fatti non supera l’esigenza informativa del diritto di cronaca
e l’interpretazione di queste circostanze rende opinabile quando un’informazione debba essere rimossa dai motori di ricerca ,e quando abbia diritto a permanere.
In ultima analisi, è il Garante alla Privacy a decidere se una vicenda sottoposta al suo giudizio possa essere preclusa a una ulteriore divulgazione rispetto a quella già subita.
Diritto all’oblio su Google
Come sappiamo, Google è il più grande gestore di informazioni al mondo, per via della spropositata mole di contenuti che viene resa nota tramite esso.
I contenuti presenti sul web – non espressamente preclusi, come quelli che vanno a comporre il “dark web” – vengono indicizzati dai programmi di Google che scandagliano il web, e diventano così facilmente consultabili.
Ciò vale sia per i contenuti positivi che per quelli che danneggiano la reputazione di una persona o di un brand, che siano falsi o veritieri.
Servirsi del diritto all’oblio significa proteggere la reputazione di un soggetto rimuovendo le informazioni pregiudizievoli della sua reputazione.
In rete possono permanere notizie anche vecchie di anni che continuano a produrre effetti sulla reputazione, anche se i fatti che riportano si sono ormai conclusi e la loro valenza informativa si è esaurita.
Per questa ragione, se non è possibile ottenere la rimozione del contenuto direttamente nel sito nel quale è caricato (es. il proprietario del sito), ci si può rivolgere al motore di ricerca per chiedere la rimozione dai suoi archivi di contenuti pregiudizievoli per la dignità del soggetto in questione.
La Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza del 13 maggio 2014 (caso Google Spain), ha confermato che il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono in esso, provenienti da pagine web di siti terzi.
Google mette a disposizione Modulo di richiesta per la rimozione delle informazioni personali ai sensi delle leggi sulla privacy europee proprio per offrire la possibilità di richiedere la rimozione dei contenuti che ci danneggiano secondo quanto previsto dal GDPR.
Questo processo ha effetto ovviamente soltanto sui risultati presenti in Google, non sugli altri motori di ricerca.
Nel modulo occorre indicare i propri dati, una copia del documento di identità e l’URL che si vuole fare scomparire, la parola chiave con cui il contenuto viene riconosciuto, la ragione per la quale si desidera eliminare il contenuto.
Una volta inviata la richiesta, il team preposto si occuperà di valutare se la richiesta può essere accolta.
Il diritto all’oblio su Google si attua mediante il processo di deindicizzazione, mediante il quale vengono rimossi i contenuti dai suoi archivi.
Il modulo consiste nella richiesta di deindicizzazione di particolari contenuti, ovvero nella richiesta di cancellazione dagli archivi di Google in modo che non vengano inclusi tra i propri risultati. Google non può rimuovere infatti i contenuti all’origine nei siti nei quali sono caricati. Se vogliamo che questi in primis vengano rimossi, occorre contattare il proprietario del sito per richiederne l’eliminazione.
Tali richieste possono essere accompagnate dalla lettera di un avvocato per avere maggiore forza persuasiva.
A quanto pare il diritto all’oblio ottenuto su Google non si applica in maniera trasversale su tutte le varianti del motore di ricerca.
Se viene eseguita una richiesta per delle URL italiane, queste vengono rimosse dalla versione IT di Google, ma non è detto che si ripercuoterà anche sulle versioni in altre lingue.
Se Google non provvede con la rimozione di quanto segnalato, è possibile fare reclamo al Garante Privacy avvalendosi di quanto previsto dall’art. 77 del GDPR, oppure rivolgersi all’autorità giudiziaria.
Il Garante della Privacy solitamente assume una posizione preposta a difendere la reputazione dei cittadini, facendo rimuovere i contenuti pregiudizievoli dai suoi archivi.
In caso contrario, è possibile agire contro la decisione rivolgendosi all’autorità giudiziaria.