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PRIVACY – CORTE DI GIUSTIZIA UE

Linee guida della CGUE sulla videosorveglianza nei condomini

Gli artt. 6, par. 1, lett. c) e 7, lett. f), Direttiva 95/46/CE (tutela della privacy), letti alla luce degli artt. 7 e 8 Carta di Nizza, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a disposizioni nazionali, le quali autorizzino la messa in opera di un sistema di videosorveglianza al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni, senza il consenso delle persone interessate, qualora il trattamento di dati personali effettuato mediante il sistema di videosorveglianza in parola soddisfi le condizioni enunciate nel succitato art. 7, lett. f), aspetto questo la cui verifica incombe al giudice del rinvio.

La Corte di Lussemburgo, interpretando gli artt. 6 e 7 Direttiva 95/46, vigente all’epoca dei fatti controversi, considera, infatti, lecita messa in opera di un impianto di videosorveglianza se vengono rispettati questi criteri: il perseguimento di un legittimo interesse da parte del responsabile del trattamento oppure, da parte del terzo o dei terzi cui vengono comunicati i dati, in secondo luogo, la necessità del trattamento dei dati personali per la realizzazione del legittimo interesse perseguito e, in terzo luogo, l’esigenza che i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata dalla protezione dei dati non prevalgano sul legittimo interesse perseguito. Il GDPR non ha sostanzialmente modificato l’impianto normativo previgente, anzi ha introdotto il concetto di base giuridica: non c’è bisogno del consenso dell’interessato se il trattamento avviene per ottemperare ad un onere di legge, purché questi sia informato di ciò (artt. 6, 9, 13 e 14 GDPR).

(Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, sentenza 11 dicembre 2019, causa C-708/18)

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